La luce naturale nell’architettura sacra
di Ivana Carbone
in: Architettura non solo didattica, 2011 – Dell’Anna Editori, Milano
Progettare l’architettura sacra implica una riflessione profonda tanto su aspetti formali quanto sul senso e sull’atmosfera che essa possa comunicare, ovvero ai rimandi che la forma architettonica concepita possa avere e al simbolo che inevitabilmente proietta nell’immaginario.
Il simbolo tipico della divinità presente e al tempo stesso trascendente è la luce, fonte di ogni presenza, ma al tempo stesso percepita come imprevedibile ed esterna a noi. La luce può immergere in un’atmosfera ispirata e “separare dal silenzio” e dall’assenza. Essa ci fa vivere, ci delinea e ci attraversa. Nel Vangelo i rimandi alla luce sono molteplici: «Io sono la luce del mondo, chi segue me non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (GV. 8, 12), «Quando ci illumini, viviamo nella luce» (Sal 36,9s), «vedrà una grande luce» (Mt 4,16). Il Messia è infatti chiamato «luce per illuminare le genti» (Lc 2,32).
Al di là infatti delle differenti poetiche architettoniche, il tema della luce naturale costituisce quasi un’invariante nella progettazione di chiese, anche attraverso i secoli; gli architetti se ne sono da sempre appropriati nella composizione di complessi sacri, rendendola in tal modo un autentico materiale di progetto.
L’uso dell’oro, ad esempio, come interprestazione della luce, ha rappresentato per secoli, nell’iconografia cristiana, la trascendenza divina così come il colore in genere è stato adoperato per amplificare la luminosità dell’ambiente interno. I mosaici hanno sin dal Medioevo riverberato la luce solare con evidenti rimandi al divino, ed oggi, anche se sono cambiati gli elementi captatori in grado di convogliare la luce verso l’interno, essa resta una componente qualificante ed evocativa in grado di differenziare gli ambiti della chiesa, dall’altare al presbiterio al battistero, conferendo valori simbolici differenti. Un esempio di uso sapiente della fonte luminosa solare si ritrova nella cappella barocca della Sacra Sindone di Guarino Garini, dove si creano effetti suggestivi al passaggio dei tre ambiti: la zona della scalinata è in penombra, la zona dei vestiboli e circostante l’altare in semi-penombra, e la zona della cupola è caratterizzata dalla luce intensa che filtra attraverso le aperture superiori.
Pur mutando nel tempo il rapporto tra costruito e luce naturale, il progettista ha stabilito una continuità con aspetti immateriali e sacri entrando in sintonia con le sensibilità della propria contemporaneità e le nuove esigenze istituzionali, antropiche e sociali. Basti pensare a come viene concepita la luce nella Chiesa della Luce di T. Ando ad Ibaraki (Osaka), dove dall’oscurità emerge una croce luminosa isolata e dove non vi è altro, in un’ottica di assoluta essenzialità.
La materia stessa, come luce consunta, non è cambiata, ma si è trasformata ed ha assunto sembianze diverse…