Abitare gli spazi aperti

Abitare gli spazi aperti

di Ivana Carbone

in: Spazi aperti (rubrica), Architetture e città del III millennio, 2009 – Edizioni dell’Anna, Roma

L’etimologia del verbo abitare rimanda al possesso di uno spazio come luogo in cui dimorare: il termine latino habitare – frequentativo di habére- ha significato di andar avendo, andar possedendo una cosa attraverso una certa continuità d’uso.

Il senso che ne deriva è il riconoscimento di un luogo come proprio. Esiste infatti un comune sentire un luogo, una sorta d’identificazione collettiva, sia in rapporto all’ambiente fisico che al contesto sociale e culturale in cui si è inseriti, un avvertire valori a volte ancestrali e intrinseci, che sono il punto di partenza della nostra conoscenza del mondo. Conoscere un paesaggio ed identificarsi in esso significa portarlo con sé, avvertire la luce di un luogo, l’aria, il suo clima, i rumori…

Sono queste componenti, che a volte sfuggono ad una valutazione strettamente tecnica, a determinare il successo di uno spazio aperto urbano, immediatamente evidente nella sua capacità di attrarre e di essere vissuto. La fruizione può essere quindi considerata un indice di qualità. Il concetto di fruibilità è però connesso ad una molteplicità di componenti di natura differente che vanno dalle funzioni di uno spazio alle consuetudini culturali fino alle caratteristiche ambientali del luogo.

Il valore di uno spazio aperto non sembra coincidere nella realtà con la ricerca di un mero segno architettonico interessante, è invece il risultato di un processo di adattamento che ha assorbito stratificazioni culturali facendo emergere il carattere peculiare di un luogo. La tradizione dell’architettura mediterranea, ad esempio, rappresenta una lezione esemplare sulla conformazione di spazi urbani sia belli che vivibili, ricchi di qualità simboliche e capaci di un dialogo complesso con la storia, le culture e i contesti. Molte delle principali piazze delle città italiane hanno un carattere tanto forte da evocare l’identità del luogo a cui appartengono.

Al di là dei casi di eccellenza, dove convergono armoniosamente qualità ambientali, strutturali, oltre che simboliche, è difficile rintracciare nella prassi costruttiva contemporanea un tale equilibrio tra le parti, e un conseguente successo di spazi aperti urbani, soprattutto in termini di fruizione. I progettisti contemporanei, avendo a disposizione molteplici strumenti e acquisizioni scientifiche e conoscitive che permettono di prefigurare i risultati progettuali, consegnano alla collettività spazi aperti di indubbio fascino, ma spesso deboli di forza attrattiva, perché poca attenzione è rivolta alle interazioni che si stabiliscono tra le molteplici componenti.

È nei luoghi dell’abitare all’aperto che avviene quello scambio tra i diversi elementi ed attori urbani che non ha luogo altrove. Uno spazio aperto è, infatti, un intreccio complesso di attività sociali, culturali ed economiche all’interno di una porzione urbana, e risponde alle sue logiche peculiari proprio perché inscritto in quel determinato contesto. È espressione simultanea di realtà sociale e sistema fisico, con il suo microclima e le componenti fisiche dello spazio. Chiunque abiti o attraversi uno spazio esterno della città può scegliere se selezionarlo nella memoria, può percepirne una componente termica, tattile, olfattiva o visiva, e ricordarne la sensazione, oltre che il segno estetico.

Gli spazi tradizionali pre-moderni si sviluppano sulla ricerca di siti che offrano innanzitutto condizioni di benessere climatico, grazie alle configurazioni morfologiche, all’uso sapiente di materiali, vegetazione e acqua, all’esposizione al sole o al riparo dai venti freddi.

Anticamente, il rapporto stretto con il sito era talmente implicito da determinare la conformazione architettonica; i manufatti come gli spazi aperti della città erano mero risultato di un processo adattativo che ha assorbito le stratificazioni e selezionato le tipologie più consone ai contesti. Spesso il tracciato urbano appariva come prolungamento dell’ordine naturale, in una logica di armonia complessiva di cui si ammirano tuttora i risultati.

La struttura morfologica urbana è stata fortemente condizionata sì da necessità funzionali e da fattori socio-culturali, ma sicuramente da istanze di tipo climatico. Riportare la centralità del clima all’interno della progettazione di spazi aperti è anche ristabilire quel rapporto diretto con l’ambiente naturale che sembra smarrito, sopraffatto da sovrastrutture moderne e avanzamenti tecnologici che spersonalizzano i luoghi e allontanano sempre più il prodotto di architettura dall’uomo e dal suo vivere.

Housing can means feeling a place like own. Living in urban open spaces means ascribing quality to them. So aesthetical value isn’t the sole responsible for the open spaces’ quality: in fact knowing a landscape and recognizing oneself in it means feeling the sunlight, the air, the surrounding’s noise, the climate. The close relations with context are often lost.
Bringing again climate in the middle of design culture can help to connect architecture, especially of open spaces, with man and his living…