Venustas percepita

Venustas percepita

di Ivana Carbone con ing. phd Michele Bruno

in: Atti del convegno Eurau ’10,  2010

Nel De Architettura Libri Decem il concetto di venustas era intrinsecamente legato a quello di proportio, riflesso della visione platonico-aristotelica che deriva a sua volta della teorizzazione pitagorica1 secondo cui i numeri hanno la capacità di imprimere alle cose le loro caratterizzazioni qualitative, oltre ad ordinarle quantitativamente.

Il nostro contributo è volto ad integrare la venustas sulla base di uno slittamento della proportio.

Attraverso i concetti espressi nella Critica della Ragion Pura, in cui Kant usa la parola “architettura” per indicare “l’arte del sistema”, dove per sistema viene inteso “l’unità di conoscenze molteplici raccolte sotto un’unica idea”, ossia una organizzazione finalistica che cresce dall’interno2, s’interpreta la venustas non come la risultante dell’acquisizione di immagini retiniche che si susseguono, ma come risultato finale percettivo dell’interazione tra le parti, in una sorta di Gestalt estetica.

Il concetto di proportio non indicherebbe più, quindi, una proporzione delle dimensioni, ma un equilibrio fra le componenti che inducono la percezione, cioè una proporzione di pesi fra il visibile e l’invisibile, tra ciò che è quantificabile e ciò che per sua natura è “senza peso”, come i valori immateriali.

Cosa rappresenti oggi la venustas e quali aspetti ne siano protagonisti, quale ruolo svolgano e in quale relazione si pongano, anima una ricerca incessante che probabilmente trova risposte coerenti solo in relazione allo spirito di un’epoca e di un luogo. Le interpretazioni, reiterate attraverso i secoli, sul concetto di bellezza, muovono comunque dalla teorizzazione vitruviana, configurando un substrato teorico per la ricerca di un valore universale e a-temporale. È ancora possibile intenderlo in tal senso?

Il passaggio da canoni stilistici all’espressione d’individualità, da preteso linguaggio universale a valori universali che sottendono al linguaggio e alle caratterizzazioni morfologiche e architettoniche contestuali, è un esempio della dialettica che ha attraversato i secoli. Se si contestualizza l’idea di venustas si ammette la possibilità di declinarla; si dà importanza così alla sua capacità di trasmettere un’atmosfera tesa verso valori non contingenti.

Il valore estetico sembra oggi aver acquisito sfumature diverse, rivolte verso la singolare percezione di un equilibrio o comunque un’atmosfera, dove l’osservatore dell’opera o il fruitore dello spazio è protagonista con la sua sensibilità. L’aspetto sublime potrebbe comunicare un senso di intima leggerezza che va oltre la materialità del costruito. L’architettura non esplica solo una funzione pratica, così come esprime una realtà non solo materica.

Il concetto di bellezza si integra con quello della complessa e unitaria percezione che si avverte nel vivere un luogo o nell’osservarlo, tanto che non vi è qualità di uno spazio urbano se non si manifesta la sua attrattività fruitiva, se non si afferma cioè la sua valenza come bene pubblico e non come bene di appartenenza pubblica, in modo da sottolineare il valore – democratico, assoluto e predominante – della fruibilità, della visibilità, e dunque, in sostanza, il momento estetico-percettivo condiviso di questi particolari beni.

Oggi sono gli spazi aperti, teatro di interrelazioni complesse, ad offrire un riscontro istantaneo dell’attrattività fruitiva, in essi avviene lo scambio tra l’abitante di uno spazio, che decide dove soffermarsi o dimorare, e il contesto. L’abitare spazi aperti della città si configura quindi come una misura implicita della qualità espressa da tali luoghi.

Ancor più, negli spazi aperti interni al tessuto a carattere storico – risultato di un lungo processo adattativo e formante, espressione complessa di stratificazioni di esigenze fruitive e prestazionali – ciò acquista un’evidenza maggiore. È qui, più che altrove, che si avverte la trasformazione, anche in senso diacronico, del concetto di venustas.

Questa progressione concettuale si riscontra anche nell’evoluzione dell’atteggiamento culturale nei confronti degli interventi sulle città storiche. Dalla necessità di voler conservare la bellezza e ridare consistenza fisica alla città consolidata, a cui si andava incontro limitandosi ad intervenire sulla sola materia storica, si arriva oggi alla presa di coscienza secondo cui il patrimonio è un sistema che può e deve accrescersi, rinnovarsi, arricchirsi attraverso nuovi contributi di conservazione, valorizzazione, integrazione e anche ad apporti originali, del tutto nuovi3; in altri termini si avverte l’esigenza di attribuirvi dei significati che siano in grado d’innescare dinamiche fruitive ponendo l’attenzione su quale sia il senso e il valore strategico del centro storico rispetto alla qualificazione di un più ampio quadro urbano o territoriale.

Questi ultimi anni sono caratterizzati dalla necessità sempre crescente di rivitalizzare i tessuti storici in termini di valorizzazione di ruoli funzionali all’interno dei contesti territoriali di appartenenza; a questa pratica è sottesa la ricerca e l’affermazione di vocazioni riconoscibili tanto negli assetti morfologici quanto nelle componenti fisiche del tessuto urbano, nei suoi elementi costituenti. All’interno di questo quadro, risultano di particolare interesse le azioni volte al potenziamento dell’offerta commerciale proprio perché legate a funzioni che caratterizzano e conformano da secoli le nostre città storiche. Fra di esse il modello del Centro Commerciale Naturale (CCN) spicca per la stretta relazione fra il suo ottimale funzionamento e le caratteristiche tipo-morfologiche del tessuto urbano. Il CCN è, in sostanza, il prodotto di azioni di riqualificazione e potenziamento commerciale, di sistemi formati da piazze e percorsi all’interno di un’area urbana omogenea ed a carattere storico.

Lo spazio urbano della città storica, almeno nell’ambito geografico-culturale dell’Europa mediterranea, è da sempre fulcro ed espressione della vita di una comunità, luogo dell’abitare collettivo, dove il termine latino habitare rimanda al possesso di uno spazio come luogo in cui dimorare, riconosciuto, in una sorta d’identificazione collettiva, come proprio, in base a valori ancestrali e intrinseci, che sono il punto di partenza della propria conoscenza del mondo e risorsa fondamentale nel concepimento di nuove forme di riuso. Tali valori sono alla base del funzionamento di assetti come quello del CCN, poiché ne rivelano la vocazione a rivitalizzare il centro storico attraverso una fruizione che si integra con la vita naturale di una città, che tende a diffondere delle modalità di uso che qualificano anche la funzione residenziale.

La qualità ambientale, e quindi la qualità della fruizione del centro storico, è condizionata da componenti che determinano l’immagine della città; questa non è solo determinata da un valore estetico, ovvero dalla percezione visiva del fruitore, ma da una percezione del benessere più complessa: se da un lato vi sono diverse componenti di un luogo che generano comfort e benessere fisico, dall’altro operano, nella percezione dell’immagine della città, caratteri che favoriscono un benessere psicologico e che sono intrinseci alla stessa consistenza fisica e alla identità della città storica, intrinseci, cioè, a quei valori connotanti che generano nel fruitore un senso di appartenenza e di sicurezza, inducendo alla riscoperta, o al potenziamento, di un valore socio-aggregativo assunto come obiettivo nella realizzazione del CCN. Si pone quindi l’obiettivo di dare sicurezza, inteso come volontà di assicurare il mantenimento dei valori che rendono un luogo riconoscibile e quindi psicologicamente rassicurante, che dia la sensazione di appartenere a chi ne fruisce.

Il senso di appartenenza è veicolato, quindi, dalla riconoscibilità nei luoghi che compongono il tessuto urbano; questa viene assunta come invariante dei processi di riqualificazione, e cioè come criterio generatore di qualità per azioni come il recupero dell’edilizia storica, così come per la redazione di piani del colore o dei piani per l’arredo urbano, e più in generale per quegli interventi che si occupano di riqualificare lo spazio urbano. (Fig.1)

Spazi urbani privi di qualità simboliche, rappresentative o comunque attrattive vengono solo attraversati, non vissuti. In questo influisce la percezione di benessere, a cui è direttamente relazionata l’abitabilità degli spazi aperti. L’unitarietà della persona e della sua capacità ricettiva si riflettono sulla percezione che arriva anch’essa come unicum, e altrettanto per la venustas percepita, che è forma non riducibile ad una somma o combinazione di elementi.

Il valore della bellezza si esprime nella sua compiutezza e contemporaneamente nella sua capacità di attrarre flussi fruitivi e attività situate in particolare nello spazio contemplativo. Nello spazio contemplativo trova forma il desiderio di guardare oltre il sé, la tensione che spinge a proiettarsi verso un orizzonte più vasto, e in questa tensione diventa fondamentale il valore della bellezza e la ricerca della diversità. In fondo, ciò che induce istintivamente a vivere gli spazi aperti è proprio la ricerca di varietà, d’imprevedibilità rispetto al proprio ambiente: è la percezione della complessità visiva che arricchisce la fruizione al punto da rendere attrattivo un luogo.

Il fruitore, attraverso il suo sguardo, appaga la ricerca della diversità nell’unitarietà, diventando parte e protagonista della scena. L’effetto della percezione visiva assume una rilevanza tale da far accantonare il punto in cui tale percezione avviene: è importante ciò che il sito esprime in termini di tensione verso l’esterno, di dilatazione verso un orizzonte. In tale ottica, dove si sosta non conta quanto cosa si mira, ovvero conta la relazione con l’oggetto osservato. Tale effetto è evidente nelle cornici sul paesaggio, nei luoghi particolarmente panoramici, negli spazi urbani con prospettive accattivanti. Ma anche un’opera architettonica può suscitare interesse o curiosità al punto che lo spazio esterno circostante, per quanto povero di valore, lo assuma di riflesso, proprio in funzione della prospettiva. (Fig.2)

Il valore estetico, o in senso più ampio una prospettiva interessante, ha un peso così elevato da condizionare in ogni caso la fruizione di spazi già di per sé attrattivi. Anche la qualità ambientale che possono offrire particolari conformazioni morfologiche, se non si accompagna ad un’apertura verso un particolare contesto esterno, nel complesso si ridimensiona.

La conformazione di nicchie microclimatiche all’interno di uno spazio urbano è una soluzione progettuale che rivela la sua efficacia in termini di abitabilità. L’esposizione alla radiazione solare ne incentiva il valore, e il riparo nei confronti di condizioni climatiche sfavorevoli, quali possono essere i venti freddi o le correnti d’aria, è un ulteriore prestazione che la conformazione dovrebbe offrire.

La delimitazione degli ambiti, che ripropone il concetto di recinto implicito nelle prime dimore, e la contemporanea apertura verso una visuale interessante conferiscono complessità visiva come percezione esterna, protezione all’interno e articolazione di attività differenti che possono svolgersi. Uno spazio ridondante, che presenti le medesime caratteristiche nelle sue sub-aree, sarebbe infatti poco utilizzato, così come spazi di grandi dimensioni tendono, in effetti, ad esercitare una forza centrifuga4, facendosi attraversare piuttosto che abitare.

Da un punto di vista archetipico, la nicchia rimanda allo spazio avvolgente e protettivo della caverna. Il valore ancestrale si manifesta inconsciamente nella ricerca di forme di benessere, che inducono ad appropriarsi di uno spazio, a dimorarvi, secondo il significato etimologico del verbo abitare. Anche nel confondersi in uno spazio si ricerca il punto di vista: l’effetto mimetico rappresenta la ricerca di aree più isolate o al contrario vissute, ma entrambe le situazioni convergono nel desiderio d’integrazione in un ambiente.

Un progetto incline ad assecondare la naturalità dei luoghi raccoglie le suggestioni offerte dalle sue componenti vive (come quelle vegetazionali che assecondano i cambiamenti stagionali, o che ad esempio si scompongono al passaggio del vento) riproducendo ambienti accoglienti.

Sono proprio gli spazi particolarmente accoglienti, per caratteristiche di protezione e contemporaneamente di apertura, a rispondere ad alcune delle componenti psicologiche, difficilmente indagabili, che inducono alla permanenza, e possono essere identificati attraverso componenti sia fisiche che invisibili. Aspetti di ubicazione e morfologia, componenti invisibili quanto fisiche come quelle relative al microclima e alle proprietà dei materiali urbani incidono sull’attrattività di un luogo.

In definitiva, il contributo che si vuol apportare non va verso definizione di canoni o di un preteso linguaggio come condizione senza la quale non è possibile comunicare la bellezza, ma semmai tenta di delineare un approccio che metta in luce il sistema complesso di valori e significati che vengono chiamati in causa nel tentativo di integrazione del concetto di venustas oggi. È come se si volesse arricchire il sistema di riferimento per il riconoscimento e la fruizione della bellezza di nuovi insiemi di variabili complesse da utilizzare in funzioni che resituiscono figure ad n dimensioni, dilatate rispetto a quelle ottenibili nel sistema triassiale “utilitas firmitas venustas”. Non si parla più solo di relazioni armoniche fra le dimensioni metriche dell’oggetto architettonico: la proportio si instaura come equilibrio nel sistema di pesi che regola la percezione di elementi visibili e invisibili che compongono l’oggetto architettonico e lo spazio urbano.

 

Note bibliografiche

1 Rossetti A., Prima dellarchitettura, Ed. Graffiti, 1998.

2 Abbagnano N.,  Dizionario di filosofia, I Dizionari UTET, ed.Tea, 1993.

3 Ceccarelli P., Il Patrimonio come risorsa per lo sviluppo economico e sociale di un territorio, Seminario IILA El patrimonio cultural en los Paises Andinos: perspectivas a nivel regional y de cooperacion. Un encuentro entre la cultura de los Países Andinos y la tradición humanista italiana. Cartagena, aprile 2005.

4 Dessì V., Progettare il comfort urbano, Sistemi Editoriali, Napoli 2007.

This paper attempts to base the reading of urban space on a multisensory approach, in order to integrate Venustas conception. The context is focused on historical urban patterns, and refers to old towns affected by revitalization dynamics. Historical centers are the outcome of a long lasting adaptive and shaping process, providing an operational space which helps to understand the quality demand of the collectivity.

Such perspective gives rise to a new concept of venustas which is not only inside of the architecture, but also moved towards the perception of architecture itself and, consequently, towards the observer; for the same reason, the idea of proportio, which is basic in the vitruvian theorization, shifts to a new meaning not indicating a proportion of metric characteristics, but a new balance among the elements of perception.

A livable and habitable place results from a complex perception not only focused on the visual element, but strictly connected to psychological and physical comfort conditions.